04 marzo 2006

Passeggiando dentro Roma

Era da molto tempo che non andavo a passeggiare in centro. Oggi è una splendida mattinata, il sole è di una luce così abbagliante che a guardarlo in faccia c'è il rischio di diventare una stella.

Prendo un bus, poi un altro. Arrivo così fino all'antica Porta del Popolo e relativa piazza. Oltrepassato l'arco mi trovo sotto un fascio di luce solare che quasi non riesco a vedere oltre la mia ombra. Sì, qualcosa riesco a vedere, l'ombra dell'obelisco al centro della Piazza e, oltre, le sagome delle cupole delle due Chiese, divise dall'inizio di Via del Babuino, di Via del Corso e di Via Ripetta.

Il fruscio dei passi della gente, incantata dallo spettacolo di luce e dalla struttura architettonica dell'intorno, non disturba affatto il suono di un pianino azionato da un uomo alto, con bombetta e vestito, che pare appena uscito da un circo. E' fermo vicino alla catena di ferro, sostenuta da colonnette di marmo travertino, divisoria del passo carrabile. Quasi immobile gira la manovella della pianola mezza squanquassata: ne fuoriesce un suono uniforme e malinconico. Lui, per nulla intimorito del fragoroso stupore dei passanti fissa gli spazi vuoti che gli sono intorno. Gli passo alle spalle per nulla incuriosito del suo aspetto fisico e del cartello posto di fronte al pianino. Le note che ascolto accompagnano i miei passi ad attraversare la piazza. Oltrepasso il suonatore ambulante continuando a camminare verso Via Ripetta e nell'aria si odono anche le note di un complesso di suonatori di musica jazz (tromba, contrabbasso, clarinetto, tamburello e fisarmonica). Sono all'opposto di dove si trova l'altro suonatore. L'ombra delle due cupole copre il drappello di suonatori e la piccola platea di ascoltatori.

Il sole è basso e le ombre, che d'inverno sono lunghe, arrivano quasi fino all'obelisco: se non fosse che muovono le dita, un piede per battere il tempo e, quasi impercettibilmente, gli avambracci, sembrerebbero formare un gruppo scultoreo. Molti turisti scattano foto e poi lasciano offerte, una bambina e una donna prese dal ritmo della musica ballano al centro della piazza. Nessuno applaude, però. La musica è bellissima. Chissà perché sotto questo cielo sfacciatamente azzurro e luminoso mi sento come fasciato. Il chiarore, che sovrasta la piazza e che rende argentate le antiche mura grigie e ocra, mi vestono di un certo senso di disagio e di tristezza. Supero il gruppo e mi inoltro, sempre contro sole, verso Via Ripetta. Devo raggiungere il negozio di articoli per belle arti situato in Via del Fiume. La luce che irrompe nellavia è accecante. Sfioro la gente rischiando più volte di cadere e spesso devo mettere un mano sulla mia fronte a far da visiera, come per scrutare l'orizzonte in mezzo all'oceano. Eseguo la commissione. Sto tornando sui miei passi. Ora il sole è alle mie spalle. Ora posso vedere bene chi mi viene incontro. A mano a mano che mi avvicino a Piazza del Popolo riodo i suoni della piccola orchestra che mi coinvolgono di nuovo nell'ascolto, quasi senza accorgermene. Questa volta arrivo e mi fermo. Noto che le ombre delle due cupole si sono accorciate. Il sole, ora, è più alto. Il gruppetto ne è tutto illuminato, noto che la tromba viene suonata da un uomo di colore, gli altri mi sembrano un misto di albanesi e rumeni, i loro vestiti, in verità un pò dimessi, aggiungono quei sintomi di tristezza di cui ero preso alla prima entrata in piazza. Osservando meglio i suonatori, uno, quello che suona il contrabbasso, ha l'indice e il medio della mano destra quasi incollati tra di loro, il pollice sembra uscire da metà dell'indice. Ogni tanto l'uomo, quello suona la tromba, invece, si riposa appoggiandosi alla colonnetta di marmo dietro di lui. Muove la testa facendo cenni d'intesa a tutti coloro che scattano foto, ed è come fosse una richiesta di lasciare moneta nella scatola, posta lì, per terra, tra vecchi e nobili sampietrini.

Attraverso di nuovo, diametralmente, la piazza. Osservo la gente seduta sotto l'obelisco: chi legge, chi parla, chi mangia qualcosa. Noto che, quasi tutte le donne, chissà perché, hanno tutte una bottiglietta di acqua in mano che spesso sorseggiano. Ora arrivo di nuovo all'altezza dell'uomo che stava suonando lo strumento musicale a manovella. Gli sono davanti assieme ad altre persone che lo guardano, ascoltano il solito ritornello, come fosse un interminabile CD. Ora, anch'io leggo assieme agli astanti, il cartellone che è posto davanti a lui e sul quale c'è scritto: datemi un euro, mi servirà per rifarmi un viso nuovo. A questo punto lo guardo, il suo vestito è un lacero frac nero, la bombetta nera, ma non riesco a distinguere i lineamenti del suo viso e quasi non credo ai miei occhi: tra il collo della camicia e il bordo del frac e sotto la bombetta un pezzo di carne maciullato, su quello che era un viso segni come fossero causate da sciabolate, senza naso, senza labbra la fessura della bocca e, sul viso, grosse cicatrici. Non ho il coraggio di guardarlo negli occhi. Lui sa di essere guardato. E' alto, dignitoso nella sua statura, si piega leggermente ad ogni giro di manovella. Le note del suo strumento musicale sembrano accompagnarlo verso la speranza di un ritorno a una nuova identità, tramite un probabile intervento di chirurgia plastica. Stò tornando a casa con il materiale acquistato e riprendere gli stessi bus in senso inverso. Le note di quelle musiche, a mano a mano che mi allontano ,sembrano svanire nel nulla. Varcato l'arco mi giro per un ultimo sguardo alla piazza: sembra una visione irreale, tutto è immobile, come in una tela dell'800, solo le note musicali non vi sono dipinte. Ora non sò più se sono passato dalla realtà al sogno o dal sogno alla realtà. Resta, comunque, una meravigliosa passeggiata dentro Roma.

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